(Adnkronos) – Tra il 2020 e il 2021 il 60% delle imprese dell’economia del mare italiane ha effettuato investimenti in responsabilità sociale ed ambientale. Un dato significativo che acquisisce ulteriore rilevanza se paragonato alla media dell’economia italiana, dove solo il 24% delle aziende ha realizzato investimenti in ottica Esg.  

Poco meno del 20% delle imprese dell’economia blu ha acquisito invece una certificazione ambientale contro l’8,3% registrato nell’economia italiana generale. 

I dati sono stati rilevati dall’ultimo Rapporto sull’Economia del mare del Centro studi Tagliacarne dove si osserva la spinta che la sostenibilità ambientale ha prodotto nello sviluppo di un settore che tra il 2020 e il 2021 ha migliorato del 9,2% il valore aggiunto complessivo.  

Al centro degli investimenti non solo le strutture e i materiali utilizzati, ma anche la formazione dei lavoratori in ottica Esg. Da un’analisi interna delle imprese associate di Federterziario è emerso che, nel corso del triennio 2019-2022, il personale formato in sostenibilità è aumentato del 14%, quello formato in digitalizzazione del 21%.  

Per Federterziario bisogna proseguire con le politiche attive del lavoro e potenziarle con i Fondi interprofessionali per migliorare la formazione, considerata una necessità improcrastinabile. 

“Lavoriamo quotidianamente anche con webinar e corsi di formazione, per stimolare nei nostri associati una visione che privilegi la transizione energetica e per fornire opportunità di crescita professionale, tramite i fondi paritetici come FondItalia, che permettono poi alle aziende più virtuose di emergere” spiega Emanuela D’Aversa, responsabile ufficio relazioni industriali della Federazione, che aggiunge: “Le imprese che rispettano i criteri di sostenibilità acquisiscono punteggi di responsabilità sociale, grazie ai quali potranno beneficiare di numerose agevolazioni e di un accesso agevolato al credito. Inoltre, è importante sottolineare che spesso le imprese adottano inconsapevolmente dei comportamenti sostenibili senza dare ad essi la giusta visibilità”.  

La Federazione sta promuovendo diverse iniziative in tal senso, tra cui il webinar dedicato al progetto “Hello fish!” organizzato dal Mipaaf (Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) e Unioncamere in collaborazione con Isnart, Feamp e Associazione pescicoltori italiani.L’iniziativa ha il fine di insegnare le tecniche di acquacoltura che rientrino in un sistema di certificazione di sostenibilità riconosciuto dall’Ue. Il rispetto di questi protocolli è indice di un’impresa attenta all’impatto ambientale. In particolare, le azioni scelte per produrre, devono rispettare gli ecosistemi presenti nei corsi d’acqua e in mare. Deve inoltre che creare filiere virtuose nei territori tra produttori, imprese di ristorazione e consumatori. 

“Diviene fondamentale – continua D’Aversa – conoscere i criteri di sostenibilità per poter mettere in risalto le attività che l’impresa svolge in ottica di valutazione Esg e, conseguentemente, beneficiare di ogni opportunità ad essi connessa. Non solo: non va dimenticato che oggi i consumatori sono sempre più consapevoli del valore della sostenibilità ambientale di un’azienda quando acquistano un prodotto e anche quando usufruiscono di un servizio e che, pertanto, anche in un’ottica di posizionamento sul mercato e di brand reputation, accompagnare le imprese in questa fase significa dare impulso e nuova linfa all’economia”.  

I servizi di alloggio e ristorazione, pesca e itticoltura, analizzati congiuntamente dal Rapporto sull’economia del Mare, si collocano meglio rispetto alla media non solo in ambito di environment ma anche di governance. La blue economy registra, infatti, trend migliori del resto dell’economia italiana anche per quanto riguarda il ruolo dei giovani e delle donne. 

Nel 2022 le imprese italiane della blue economy guidate da under 35 sono state 20.831 rappresentando il 9,1% del tessuto produttivo delle imprese del mare in tutto il Paese. Nonostante un calo rispetto al 2019, quando l’imprenditoria giovanile si riscontrava nel 9,8% delle attività di settore, la statistica dello scorso anno è di quasi mezzo punto percentuale superiore all’economia generale italiana, dove l’8,7% delle aziende è guidato da un imprenditore under 35. La riduzione del peso dell’imprenditoria giovanile coinvolge quasi tutti i settori, tranne l’industria delle estrazioni marine, la filiera cantieristica e la movimentazione di merci e passeggeri via mare, che sperimentano un lieve incremento. 

Nell’ambito del “Sistema mare” i giovani sono attratti soprattutto dalle attività relative ai servizi di alloggio e ristorazione. Nel 2022, la distribuzione delle imprese guidate da under 35 nel settore è stata: 

– 11.959 imprese che offrivano servizi di alloggio e ristorazione (11% delle imprese blu totali del settore); 

– Filiera ittica, con 3.134 imprese (9,4% del totale settoriale); 

– Attività sportive e ricreative, con 2.715 imprese (7,9%); 

– Movimentazione di merci e passeggeri via mare (6,9%); 

– Filiera cantieristica (5,8%); 

– Attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale (5,2%);  

– Industria delle estrazioni marine (1,9%) 

La distribuzione territoriale riflette l’andamento generale dell’economia: anche nella blue economy l’imprenditoria giovanile è più intensa nel Mezzogiorno dove rappresenta il 10,8%, superando la media nazionale del 10,2%. 

Il rapporto dimostra che al Sud l’incidenza dell’imprenditoria giovanile nel “Sistema mare” è superiore alla media nazionale, specialmente nell’industria delle estrazioni marine (2,5% rispetto al 1,9% nazionale), nei servizi di alloggio e ristorazione (13,1% rispetto all’11% nazionale) e nelle attività sportive e ricreative (9,9% rispetto al 7,9% nazionale), anche se non mancano le attività in cui l’imprenditoria giovanile è più sviluppata in altre zone del Paese. 

Nel 2022, il settore ha registrato 50.492 imprese femminili, pari al 22,1% del totale delle imprese blu. Questo valore si allinea perfettamente al tasso di femminilizzazione dell’intero sistema economico (22,2%). Ecco come è distribuita l’imprenditoria femminile nelle varie attività: 

– Attività di servizi di alloggio e ristorazione: 27,4% delle imprese è guidato da donne; 

– Attività sportive e ricreative: 26,5%; 

– Filiera ittica: 17,3%; 

– Attività di ricerca e tutela ambientale: 14,3%; 

– Movimentazione di merci e passeggeri via mare: 11,8%; 

– Industria delle estrazioni marine: 10,8%; 

– Filiera cantieristica: 10% 

Passando all’analisi territoriale si nota come l’incidenza di imprese femminili nella blue economy è maggiore nel meridione del Paese rispetto alle altre macro-ripartizioni. Nel Mezzogiorno, il 23,4% delle imprese blu è guidato da donne, seguito dal Centro (22,5%). 

Al di sotto del valore medio nazionale si collocano il Nord-Ovest (19,5%) e il Nord-Est (19,2%). Nei settori di attività sportive e ricreative e cantieristiche, il Sud registra i tassi di imprenditoria femminile più alti (27,7% e 11,7%). Nel Centro spiccano tassi più alti per attività di ricerca e tutela ambientale (15,8%) e movimentazione di merci e passeggeri via mare (14,4%). Nel Nord-Ovest, spiccano le imprese femminili nei servizi di alloggio e ristorazione (29,8%) e nell’industria delle estrazioni marine (15,7%). Nel Nord-Est del Paese, le imprese femminili rappresentano il 19,3% del totale di settore. 

Nel 2022 l’incidenza di imprese femminili nel “Sistema mare” è salita al 22,1% dal 21,7% del 2019. Si tratta di un incremento maggiore rispetto al tasso di crescita medio del sistema imprenditoriale femminile italiano (passato dal 22% del 2019 al 22,2% dello scorso anno). 

Il Rapporto sull’Economia del mare dimostra dunque che la blue economy sta reagendo agli impulsi Esg meglio del resto dell’economia italiana. 

“Le stime nazionali confermano la percezione sulle nostre 85mila imprese associate, molte delle quali appartengono alla blue economy o al suo indotto. In questo senso crediamo che sia fondamentale ribadire l’importanza dei progetti innovativi nell’ottica della transizione verde”, ha chiosato D’Aversa.