(Adnkronos) – Si è tenuto ieri a Milano, presso la sede di Sobi Italia, “Sobi Let’s Talk. Mont Blanc experience: to the next level”, il quarto appuntamento del progetto “Let’s Talk”, nato nell’ottobre scorso con l’obiettivo di approfondire argomenti di attualità e prospettive inesplorate in un contesto, per alcuni aspetti ancora poco conosciuto, come quello delle malattie rare. L’incontro è stato dedicato all’emofilia, una patologia rara della coagulazione, di origine genetica, che provoca emorragie, anche gravi, e microsanguinamenti a livello articolare. Questi eventi possono avere conseguenze significative sulla mobilità e sullo stato di salute complessivo dei pazienti. In Italia, secondo l’ultimo Rapporto Istisan dell’Istituto Superiore di Sanità, sono oltre 5.000 le persone affette da emofilia e più di 10.000 quelle con difetti della coagulazione. 

Il talk – riporta una nota – ha offerto l’opportunità di approfondire l’evoluzione dei trattamenti, partendo dalle prime soluzioni, fino ad arrivare alle più recenti innovazioni terapeutiche. È stato anche un momento per guardare al futuro, esplorando le opportunità che ci attendono. Inoltre, è stata condivisa una storia personale ricca di spunti di riflessione, tanto simbolici quanto concreti. Negli ultimi anni, la gestione dell’emofilia ha subito una trasformazione significativa, grazie all’introduzione di terapie innovative, che consentono di personalizzare i trattamenti in base alle esigenze specifiche di ogni paziente. Non ci si limita più alla semplice prescrizione di farmaci, ma si adotta un approccio integrato, che include anche la prevenzione, la protezione e la promozione di attività fisiche appropriate. Inoltre, sono state sviluppate competenze multidisciplinari per ottimizzare la collaborazione tra specialisti, migliorando così la qualità delle cure e l’efficacia del trattamento. 

“Oggi, grazie a strategie di prevenzione e protezione come la profilassi con fattori a emivita prolungata, il monitoraggio periodico della salute articolare e l’attività fisica regolare, è possibile gestire l’emofilia e ridurre significativamente il rischio di sanguinamenti, preservando, così, il benessere articolare e migliorando la qualità di vita – ha dichiarato Carina Fiocchi, Direttore Medico di Sobi Italia, Grecia, Malta e Cipro -. I dati mostrano che una profilassi regolare e personalizzata, che garantisca un adeguato livello di protezione, anche durante l’attività fisica, riduce i sanguinamenti e mantiene in buone condizioni il sistema muscolo-scheletrico. L’aderenza alla terapia è fondamentale, per proteggere la salute articolare in tutte le fasi della vita. Con le attuali opzioni terapeutiche e attraverso un approccio multidisciplinare e omnicomprensivo è possibile consentire alle persone con emofilia di vivere una vita piena, protetti e sicuri”.  

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Alla luce di queste considerazioni Sobi – riferisce la nota – in collaborazione con Save One Life Foundation, ha recentemente supportato un gruppo di persone con emofilia in un’emozionante e straordinaria avventura verso la cima del Monte Bianco, la vetta più alta delle Alpi, durante il mese di luglio 2024.  

“In passato, ai pazienti con emofilia veniva consigliato dai medici di evitare sport, attività fisica e qualsiasi situazione potenzialmente rischiosa per evitare infortuni, sanguinamenti o danni alle articolazioni. Tuttavia, i progressi nella cura dell’emofilia hanno portato a importanti miglioramenti nelle opportunità di vita per chi convive con questa condizione. Grazie ai trattamenti profilattici, oggi i pazienti sono in grado di raggiungere e mantenere livelli di emostasi simili a quelli di una persona senza emofilia, un concetto noto come normalizzazione dell’emostasi – ha sottolineato Jason Donohue, Community Engagement Director – Emofilia – di Sobi Global -. Questo ha favorito un cambiamento di mentalità sia nei medici che nei pazienti, dove il dialogo si sposta dal rischio di praticare attività fisica, al rischio di non praticarla. Fare sport per una persona con emofilia non solo è possibile, ma è anche fortemente raccomandato per mantenere la salute generale”. 

“Per questo motivo, Sobi è orgogliosa di aver collaborato con Save One Life Foundation – conclude Jason Donohue – La scalata al Monte Bianco non è stata solo una sfida fisica, ma un vero e proprio simbolo di resilienza e determinazione. La nostra speranza è che questa esperienza possa ispirare tutte le persone con emofilia a compiere il loro prossimo passo, grande o piccolo che sia, spingendole a inseguire i propri sogni e obiettivi con coraggio e determinazione”. 

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Tra i partecipanti a questa straordinaria iniziativa c’era Roberto Centurame, persona con emofilia, che ha scelto di condividere la propria esperienza in occasione di “Sobi Let’s Talk. Mont Blanc experience: to the next level”. “Questa esperienza di salita verso il Monte Bianco è stata unica, perché non era solo una sfida personale, ma un percorso condiviso – ha ricordato Centurame – Quando ci si trova in un gruppo, soprattutto in un contesto così impegnativo, la condivisione diventa fondamentale. Le tensioni salgono, certo, ma è proprio lì che la socializzazione e l’empatia tra di noi sono state il vero motore. Abbiamo imparato a sostenerci, a leggere i segnali degli altri, a rispettare i momenti di difficoltà”.  

Il “messaggio più importante che voglio trasmettere a chi ha l’emofilia, è che cercare di andare oltre i propri limiti può essere stimolante, ma bisogna avere anche la lucidità di fermarsi quando il corpo ci manda segnali chiari – continua Centurame – Non è necessario scalare il Monte Bianco per sentirsi realizzati; la vera sfida quotidiana per chi ha l’emofilia è alzarsi dalla poltrona, fare una passeggiata, mettersi in movimento. Ogni piccolo passo è una conquista”. Il messaggio emerso dall’incontro di ieri è che, per favorire l’inclusione delle persone con emofilia, è fondamentale consentire loro di avere una vita sociale attiva. Per questo, l’attività fisica e lo sport hanno un ruolo fondamentale, a condizione che si abbia una protezione adeguata, e la consapevolezza dei propri limiti. Oggi – conclude la nota – grazie alle terapie più recenti, è possibile garantire livelli di protezione maggiori, favorendo progressivamente la normalizzazione dell’emostasi. Questo non solo aumenta la sicurezza dei pazienti, ma facilita la socializzazione e permette una vita pienamente attiva.