(Adnkronos) –
Contro l’obesità meglio il ‘bisturi’ oppure i nuovi farmaci antidiabetici dimagranti della ‘
famiglia Ozempic’? Uno studio presentato al Congresso 2024 dell’American College of Surgeons (Acs), che si apre oggi a San Francisco, ha cercato di rispondere a questa domanda analizzando – nello scenario statunitense – il rapporto costo-efficacia nel tempo per il trattamento farmacologico confrontato con la chirurgia antiobesità. La conclusione, in sintesi, è che i medicinali cosiddetti Glp-1 Ra (agonisti del recettore dell’ormone intestinale Glp-1) “sono convenienti a lungo termine solo se abbinati alla chirurgia bariatrica”. Più precisamente, se i 2 approcci vengono esaminati singolarmente, il più costo-efficace risulta essere la chirurgia. Ma una combinazione dei 2 interventi, chirurgico e farmacologico, è più conveniente rispetto al bisturi da solo.  

Originariamente utilizzate per trattare il diabete di tipo 2 – ricordano i ricercatori – le iniezioni di liraglutide (nome marchio Saxenda*) e più di recente di semaglutide (Wegovy*, versione anti-obesità dell’Ozempic*) sono state approvate dall’Agenzia del farmaco americana Fda, su prescrizione, per la perdita di peso nei pazienti obesi o sovrappeso con almeno una condizione patologica associata ai chili di troppo. Questi medicinali fanno dimagrire mimando l’azione degli ormoni che riducono l’appetito e aumentano il senso di sazietà, e vanno usati a tempo indeterminato se si vuole mantenere la perdita di peso. “I Glp-1 Ra sono farmaci a vita”, afferma Joseph Sanchez, chirurgo generale all’ospedale Northwestern Medicine di Chicago, autore principale dello studio. Negli Stati Uniti “non sono sempre coperti dall’assicurazione – sottolinea – e possono costare ai pazienti da 800 a 1.200 dollari al mese”, ma finora “non sapevamo come queste terapie si confrontassero, in termini di rapporto costo-efficacia, con l’opzione gold standard contro l’obesità ossia la chirurgia bariatrica” che si esegue in laparoscopia.  

Far luce su questo punto è cruciale, evidenzia Anne Stey, ricercatrice senior dello studio e professore associato di chirurgia alla Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago, perché siccome “continuano a emergere prove dei benefici di salute dei Glp-1 Ra, le compagnie assicurative dovranno decidere se coprire questi farmaci e in quali scenari”. Pertanto, “capire se e come queste opzioni terapeutiche sono economicamente vantaggiose è fondamentale per garantire che quante più persone possibile possano accedervi”. 

Lo studio 

Sanchez e colleghi hanno eseguito un’analisi di costo-efficacia della sola terapia con Glp-1 Ra, della sola chirurgia bariatrica (bypass gastrico o gastrectomia a manica) e del mix farmaci-intervento chirurgico, prevedendo nei 3 scenari – per migliaia di pazienti coinvolti in diverse sperimentazioni cliniche negli Usa – i costi del trattamento fino alla morte, per un periodo di tempo fino a 50 anni. Il trattamento veniva considerato economicamente vantaggioso se il costo totale era inferiore a 100mila dollari per ogni anno di vita corretto per qualità della vita (Qaly), quindi per ogni anno di vita in salute guadagnato.  

A conti fatti – riportano gli autori – con un range 17.400-22.850 dollari, il costo a paziente stimato per la chirurgia bariatrica supera il costo medio annuo dei Glp-1 Ra (9.360-16.200 dollari). Tuttavia, rispetto ai farmaci da soli, la sola chirurgia aggiunge circa 2 Qaly e fa risparmiare oltre 9mila dollari per guadagnare un anno di vita di qualità. Ancora meglio va però l’abbinamento tra Glp-1 Ra e chirurgia: rispetto al solo bisturi, il mix fa risparmiare oltre 7.200 dollari per Qaly e ne aggiungerebbe più di 5. 

“Sottoporsi a chirurgia bariatrica – riassume Sanchez – è più conveniente a lungo termine rispetto al proseguire la cura farmacologica per tutto il resto della vita. Il ruolo chiave di questi farmaci, visto in una prospettiva di rapporto costo-efficacia, si esprime utilizzandoli dopo la chirurgia bariatrica per smaltire il peso ripreso” eventualmente. I risultati dello studio andranno ovviamente rivisti, precisa l’autore, se il costo dei Glp-1 Ra diminuisse o se arrivassero sul mercato nuovi medicinali antiobesità più economici. Ma per cambiare le cose il costo dovrebbe scendere molto, di quasi il 75%. 

Un secondo studio presentato al meeting Acs ha voluto invece valutare i nuovi farmaci antiobesità usati prima dell’intervento chirurgico. Una ricerca dell’Indiana University (Iu) School of Medicine di Indianapolis ha infatti rilevato che dal 2018 l’impiego dei Glp-1 Ra nell’anno precedente a una procedura bariatrica è più che triplicato, dall’8% al 24%. L’idea è che perdere peso prima di entrare in sala operatoria, specie nei pazienti con indice di massa corporea Bmi superiore a 50, “può rendere l’intervento chirurgico più semplice e sicuro”, spiega Tarik Yuce, ricercatore senior dello studio, Acs Associate Fellow e professore associato di chirurgia alla Iu School of Medicine. Però va chiarito se ci sono rischi assumendo Glp-1 Ra, come antidiabetici e/o antiobesità, prima dell’operazione.  

Gli scienziati hanno analizzato informazioni relative a 2.169 pazienti sottoposti a intervento bariatrico in 3 ospedali affiliati Iu dal 2018 al 2023. I dati valutati includevano differenze nei ricoveri ospedalieri a 30 giorni, visite al pronto soccorso e complicazioni tra chi aveva usato Glp-1 Ra in fase preoperatoria (293 pazienti) e tra chi non li aveva presi (1.876 pazienti). I ricercatori non segnalano differenze statisticamente significative tra i gruppi di trattamento in questi risultati a breve termine, o nella perdita di peso a 1 anno dall’intervento chirurgico: i pazienti che hanno utilizzato Glp-1 Ra prima dell’operazione avevano perso in media il 25,5% del loro peso totale, quelli che non avevano usato i farmaci il 27,3%. 

“Potrebbe essere sicuro utilizzare Glp-1 Ra nel periodo preoperatorio – conclude Qais AbuHasan, ricercatore associato della Iu School of Medicine e autore principale del lavoro – Ma dobbiamo indagare ulteriormente per capire se fattori come la dose e la durata del trattamento possano produrre o meno differenze nei risultati”. 

L’analisi di Marco Antonio Zappa, il chirurgo di Fedez 

I nuovi farmaci antidiabetici dimagranti non sono dei ‘rivali’ della chirurgia bariatrica anti-obesità. In alcuni momenti possono essere invece validi alleati del ‘bisturi’, a patto però di “rispettare le indicazioni”. Perché se da un lato “la chirurgia bariatrica non va fatta su chiunque”, dall’altro “il farmaco non va dato a tutti”. L’appropriatezza deve essere il faro per Marco Antonio Zappa, past president della Sicob (Società italiana di chirurgia dell’obesità e delle malattie metaboliche) e big mondiale della chirurgia addominale.  

Nel settembre 2023, allora direttore dell’Uoc di Chirurgia generale dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano, Zappa curò in urgenza Fedez per un’emorragia da 2 ulcere. Oggi dirige il Dipartimento chirurgico del gruppo Iseni Sanità, dopo che nel marzo scorso ha lasciato il Servizio sanitario nazionale denunciando le anomalie di “un sistema al quale ho dedicato la vita, ma dove 1 vale 1”. All’Adnkronos Salute commenta gli studi presentati al congresso Acs, da cui arrivano “indicazioni con cui mi trovo assolutamente d’accordo”.  

La premessa dello specialista è che “il bene del paziente è quello a cui dobbiamo guardare, quindi ben venga qualsiasi soluzione, medica o chirurgica, che faccia guarire il paziente”. Il trattamento gold standard nei casi di grande obesità è la chirurgia bariatrica, per la quale “c’è un’indicazione assoluta”, sottolinea Zappa. Per quanto riguarda i farmaci, “sono innovativi, ben vengano, anche i chirurghi sono felici che ci siano e anche io li prescrivo”, ma appunto vanno usati “nel rispetto delle indicazioni”. Nei casi di obesità grave possono essere complementari all’intervento “in momenti specifici. Prima e dopo la chirurgia, soprattutto”.  

Mirare la soluzione alle esigenze del paziente è cruciale, spiega Zappa. “Il farmaco, che ha un’ottima efficacia, produce cali ponderali del 10-12-15% massimo in 1 anno”. Ecco perché nei casi di grande obesità l’indicazione è la chirurgia, che permette di perdere “il 40-50% in 1 anno e poi altro peso successivamente”. Se per mantenere il risultato e non ingrassare di nuovo gli analoghi di Glp-1 “vanno assunti per la vita” e c’è il nodo costi, “per la chirurgia bariatrica è importante che l’intervento si inserisca all’interno di un percorso in cui il paziente viene assistito in un centro specializzato, da un’équipe multidisciplinare, monitorato e accompagnato nel tempo. Perché se il paziente operato non si fa seguire – avverte l’esperto – anche dopo la chirurgia rischia di riprendere peso”, vanificando i costi dell’operazione.  

Ecco allora che “il farmaco può essere utile ed efficace in 2 momenti”, descrive Zappa. Innanzitutto, “fondamentale, prima dell’intervento chirurgico per ridurre il peso e con il peso il rischio operatorio: si porta il paziente a un indice di massa corporea Bmi minore e si opera con meno rischi”. Poi, “altrettanto fondamentale, è il potenziale d’uso del farmaco nel post-chirurgico. Nei casi di ‘weight regain’, di ripresa del peso, prima il chirurgo si trovava nel dilemma di cosa fare, di dover reintervenire con un rischio molto più alto. Invece ora, grazie al farmaco, il chirurgo ha uno strumento che può usare per aiutare il paziente a riprendere il calo di peso rafforzandosi anche psicologicamente. In questi casi la terapia può non essere a vita”, puntualizza il chirurgo: “Si può dare il farmaco per 6-7 mesi e poi il paziente riprende il suo percorso”. Insomma, appropriatezza e personalizzazione. Bisturi e iniezioni possono convivere, aiutarsi l’un l’altro, usati sul paziente giusto, al momento giusto.