(Adnkronos) – La Corporate Sustainability Due Diligence Directive, CSDD, è una direttiva europea proposta nel febbraio del 2022 sugli obblighi di sostenibilità delle imprese e rappresenta un passo fondamentale per cercare di responsabilizzare le aziende riguardo l’impatto ambientale e sociale lungo tutta la catena di produzione e distribuzione. Proprio in questi giorni la CSDD è stata sottoposta all’analisi finale del Consiglio Europeo che, però, non ha dato l’approvazione definitiva e ciò nonostante l’iter promettesse un esito diverso, specie dopo l’accordo provvisorio sul regolamento raggiunto a dicembre 2023 tra Parlamento e Consiglio. Dunque, si tratta di un duro colpo al progredire delle norme sulla sostenibilità delle aziende che rischia ora di slittare avanti nel tempo, anche considerando le ormai imminenti elezioni europee che inevitabilmente porteranno a un rallentamento se non all’interruzione dell’iter legislativo.
Ricordiamo che la bozza della CSDD obbliga tutte le aziende operanti nell’UE con almeno 500 dipendenti e un fatturato netto di almeno 150 milioni di euro, a identificare, valutare, prevenire, mitigare, affrontare e porre rimedio a impatti su questioni fondamentali riguardanti le persone e il Pianeta, tra cui il lavoro minorile, diversità e inclusione sociale, inquinamento, deforestazione.
Tra gli Stati membri, la Germania si è dimostrata tra i più contrari circa l’approvazione della CSDD come attualmente concepita a causa di timori riguardo il possibile aumento degli oneri burocratici e finanziari a carico delle aziende. Successivamente, anche l’Italia ha ritirato il suo sostegno all’approvazione della CSDD come concepita oggi. All’ultimo minuto, anche la Francia ha ritirato l’appoggio alla direttiva dopo aver proposto di applicare le nuove regole solamente alle aziende con più di 5.000 dipendenti, contro i 500 dipendenti attualmente previsti, sollevando, di fatto, circa l’80% delle imprese operanti in Europa dal dover seguire quanto riportato nella direttiva stessa.
Ricordiamo che la CSDD, oltre agli obblighi di mitigazione degli impatti e di rendicontazione degli impegni per raggiungerla, prevedeva l’adozione da parte delle imprese di piani di transizione climatica per garantire che le attività delle imprese stesse fossero allineate con l’obiettivo centrale dell’Accordo di Parigi sul clima che prevede di limitare il riscaldamento globale entro 1,5°C. Senza dimenticare che la direttiva prevedeva l’introduzione di un sistema di supervisione dell’operato delle imprese con tanto di sanzioni e istituzione da parte degli Stati membri di autorità di vigilanza per verificare la corretta applicazione delle norme, con facoltà di comminare pene amministrative e multe anche di notevole portata, fino al 5% delle entrate globali annuali di un’azienda.