(Adnkronos) – Protesta dei medici internisti contro la riforma dei pronto soccorso annunciata nei giorni scorsi dalla Regione Lombardia, oggetto di una delibera approvata dalla Giunta su proposta dell’assessore al Welfare, Guido Bertolaso. Da un lato il “rammarico per non essere stati consultati in fase di elaborazione del piano di riordino”, nonostante siano proprio le Medicine interne i reparti che ricoverano la maggioranza dei pazienti che ricorrono alle cure di emergenza-urgenza, e a dispetto del carico di lavoro sopportato in pandemia, con il 70% dei malati Covid gestiti in Medicina interna. Dall’altro i timori legati ai contenuti del provvedimento, che presenta “criticità sostanziali” per gli ospedali, per i camici bianchi che vi operano e per gli stessi pazienti. I quali, per effetto della riforma dei Ps lombardi così come descritta, potrebbero non ricavare “un reale vantaggio”, ma addirittura correre dei rischi.  

Sono 7 i problemi che ostacolerebbero l’applicazione del piano di riordino e che vengono messi nero su bianco dalle sezioni lombarde di Fadoi (Federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti) e Simi (Società italiana di medicina interna), in una lettera indirizzata a Bertolaso e per conoscenza al governatore Attilio Fontana. “Se da un lato la delibera prevede alcune modifiche strutturali che sono e saranno fondamentali per il miglioramento dell’attività del Ps e per le quali apprezziamo e condividiamo l’impegno dell’assessorato – scrivono gli specialisti – dall’altro vi sono” appunto “criticità sostanziali che nell’impostazione attuale non possiamo non evidenziare, con l’approccio costruttivo che ha sempre caratterizzato la collaborazione con la Direzione generale Welfare” della Regione e “con l’assessorato”.  

La missiva, chiariscono Fadoi e Simi Lombardia, vuole essere “un tentativo costruttivo di partecipare alla discussione e alla condivisione di un percorso realmente sostenibile, che ci vede in prima linea nella gestione delle attività ospedaliere insieme ai colleghi urgentisti e delle altre specialità, ma che deve necessariamente essere affrontato in maniera sistemica”, avvertono gli internisti, “mettendo prioritariamente il paziente al centro del processo di cura”.  

“Il Pronto soccorso – ricordano Fadoi e Simi Lombardia – rappresenta la porta d’ingresso dell’ospedale, il ‘primo baluardo di difesa’ per i cittadini con problemi medico-chirurgici”, le cui attività per forza di cose “si riflettono sulle attività dei reparti specialistici. Conseguentemente, un piano di riordino di queste strutture non può essere svincolato dalla considerazione del flusso dei pazienti nella sua completezza, dal Pronto soccorso ai reparti di degenza, al rientro sul territorio”. Lo sanno bene i medici internisti, “significativamente coinvolti, con molti sacrifici e spirito di collaborazione – rimarcano nella lettera – nelle attività turnistiche di moltissimi Ps”. Ed è proprio in virtù di questo ruolo che gli specialisti di Medicina interna sottopongono a Bertolaso 7 osservazioni, “confidenti che vengano considerate”.  

La prima criticità rilevata dagli esperti riguarda il punto della delibera in cui si spiega che l’indisponibilità di posti letto nelle degenze ospedaliere non è giustificazione sufficiente a impedire l’immediato ricovero del paziente da parte del medico del Dipartimento di emergenza-urgenza/Ps. “In questo modo”, però, “il problema del boarding di Ps”, ossia dei pazienti per i quali si decide il ricovero e che restano in attesa di un letto, “non viene risolto – obiettano gli internisti – ma solo spostato, scaricandolo sui reparti di degenza, senza un reale vantaggio per il paziente”. Anzi, “come dimostra la letteratura, il ricovero del paziente in un setting non adeguato, o in appoggio/sovrannumero, come facilmente accadrebbe, porta a un aumento del rischio clinico, con effetti sfavorevoli sugli esiti”. 

Il secondo problema sollevato da Fadoi e Simi è relativo al passaggio della delibera in cui si prevede, per supportare le esigenze del Ps, un riequilibrio nella dotazione dei posti letto sulla base dei dati epidemiologici e tenendo conto delle esigenze del Pronto soccorso stesso. “Un maggior numero di posti letto a disposizione del Ps è fondamentale. Tuttavia – commentano gli specialisti – dal momento che non è previsto alcun incremento del numero di letti accreditati complessivi, ma solo una redistribuzione, ciò si accompagnerebbe verosimilmente a una riduzione dei letti soprattutto per l’elezione, sia medica che chirurgica, e conseguentemente si ridurrebbe la capacità degli ospedali pubblici di rispondere a esigenze cliniche non acute, ma altrettanto importanti per i pazienti. Anche la creazione di posti letto per le unità operative di Medicina d’emergenza-urgenza (12-24 letti), in assenza di una modifica dei letti complessivi accreditati andrà ad accentuare questa problematica”.  

Il terzo “passaggio critico, e di difficile comprensione clinica e organizzativa”, proseguono i medici internisti nella lettera a Bertolaso, “è quello che riguarda la ‘gestione della guardia medica/chirurgica interdivisionale'”. Agli specialisti Fadoi e Simi “non è chiaro se tale gestione della guardia interdivisionale sia in sostituzione delle attuali guardie interdivisionali, in carico agli specialisti dei vari reparti di degenza, oppure in aggiunta. In entrambi i casi ci chiediamo come mai ad esempio un internista, nel caso di un paziente che presenti ‘un deterioramento dei parametri cardiorespiratori/emodinamici’, debba chiamare il collega urgentista e non possa invece gestire l’urgenza in prima persona (come fa ora), decidendo autonomamente quando chiamare il rianimatore”. Fra l’altro, “tale attività comporterebbe la necessità di reclutamento di un numero ancora maggiore di urgentisti, a discapito delle altre specialità, altrettanto in sofferenza”. 

Gli internisti chiedono poi chiarimenti su un quarto e un quinto punto particolarmente tecnici, passando successivamente a far notare, al punto 6, come “il problema delle risorse umane sembrerebbe rappresentare al momento il vero ostacolo difficilmente sormontabile nell’attuazione del piano di riordino. Le molteplici mansioni del medico urgentista che si vanno a configurare – scrivono le società firmatarie – prevedono un enorme aumento delle risorse per le unità operative complesse di Pronto soccorso-Medicina d’urgenza, già oggi in estrema sofferenza e dipendenti da contributi esterni, che pare, almeno per i prossimi 5 anni, assolutamente irrealizzabile”. I medici internisti ribadiscono inoltre che “la maggior parte dei professionisti che opera in area Ps-Medicina d’urgenza in Lombardia proviene dall’area medica, in particolare dalla Medicina interna”. Dunque, “se da un lato è fondamentale attuare un’adeguamento delle risorse disponibili in Ps-Medicina d’urgenza, dall’altro ciò non deve andare a compromettere equilibri estremamente fragili nei reparti specialistici (non solo Medicina) dove si rileva carenza analoga”, se non “una vera e propria fuga dall’ospedale”. 

Infine “un’ultima considerazione”, la numero 7, “riguarda l’attivazione di ambulatori per i Codici minori. Nel 2022 – puntualizzano gli internisti – i Codici minori hanno rappresentato il 76,8 % di tutti gli accessi nei Ps della Lombardia (fonte Areu, Agenzia regionale emergenza urgenza). Partendo da questo dato, pare inverosimile che i medici di continuità assistenziale (o loro assimilati anche non specialisti) possano prendersi un carico così poderoso. Inoltre, non va dimenticato come anche all’interno dei codici di priorità 4-5 possono nascondersi non infrequentemente sintomatologie subdole che devono essere supervisionate da professionalità con adeguata competenza specialistica, senza parlare della responsabilità in tal senso che viene direttamente affidata al triagista. A questo punto – è la perplessità finale degli internisti – rimane il dubbio su quale figura medica possa farsi carico dei Codici minori”.